Mercoledì 27 maggio. Una discarica sociale. In via Germagnano ci sono i camion dell’Amiat, ci sono i cani brutti e malati che nessuno vuole, ci sono gli esseri umani che la povertà e uno stigma perdurante relegano in posti tutti uguali. Lontano dalle abitazioni, vicino al fiume e all’immondizia.
Quando arriviamo al campo sull’angolo ci sono già polizia e qualche fascista.
Oggi è il giorno delle fiaccole: i fascisti di Fratelli d’Italia che hanno organizzato un corteo proprio in via Germagnano: vogliono cacciare tutti, perché tutti sono colpevoli. Colpevoli di cosa? Colpevoli di esistere. Quando il dito si leva contro un intero popolo o un intero gruppo sociale siamo di fronte ad un colpa collettiva, originaria. Sei da cacciare perché sei “intrisecamente” cattivo, deviante, malato. I nazisti perseguitarono rom e sinti perché ritenevano che il “nomadismo” ne avesse corrotto la purezza razziale, trasformandoli in criminali. Il triangolo sulle giacche dei rom e dei sinti finiti nei lager era quello nero dei delinquenti.
Questa logica è la stessa di Fratelli d’Italia, che accusano i rom di essere tutti “intrisecamente” devianti. Una concezione lombrosiana che ritorna ed è all’origine di pogrom e roghi. Oggi il pretesto è il danneggiamento al canile dell’Enpa, un’azione sulla quale, dopo le prime “certezze” diffuse dai media, si addensano sempre più ombre. Ombre rese più fosche dalle dichiarazioni razziste dei responsabili del canile.
Prima di entrare nel campo veniamo subito intercettati da due uomini in borghese della polizia politica, due mai visti, probabilmente lavorano nella squadra fascisti. Vedendo che siamo intenzionati ad entrare cercano di distoglierci mostrandoci i topi che saltellano qua e là per la strada. Visto che non funziona la buttano sul patetico dicendo “ma come fanno a farci vivere i bambini”? Quando rispondiamo che i poveri vivono dove possono si allontanano dicendo che noi “la mettiamo sul politico”.
In questo breve scambio di battute si addensa il grumo concettuale che solo gli ammalati di esotismo possono chiamare questione rom. La “questione rom” esiste solo perché c’è chi vuole che ci sia. Tra loro anche alcuni antirazzisti, sedotti dall’immagine stereotipa del rom, nomade, libero, sradicato per scelta. La realtà è diversa e per conoscerla occorre disponibilità all’incontro, alla conoscenza, all’ascolto di uomini, donne, bambini, ragazzi e ragazze in carne ed ossa. Gente che vorrebbe una casa ma non può permettersi di pagarla, gente che vorrebbe un lavoro, ma raramente riesce a sfuggire alla precarietà.
Al campo scambiamo qualche parola e poi prepariamo assieme ai ragazzi uno striscione con la scritta “Casa per tutti. No al razzismo”.
Ci offrono dell’acqua, discutiamo la situazione, decidiamo insieme come affrontarla. Uno di noi viene invitato a entrare in casa: bene in vista c’é un fazzoletto No Tav.
Al campo la rabbia è tanta, tantissima.
Quando arrivano i fascisti, non più di un centinaio, trovano centinaia di rom bosniaci del campo “autorizzato” ad attenderli. Molti in segno di disprezzo mostrano le spalle, i bambini si arrampicano sulla recinzione combattivi. Poi a pugno chiuso si canta tutti insieme “Bella ciao” e “nostra patria è il mondo intero”. I fascisti schiumano di rabbia e cercano di avvicinarsi. Per loro fortuna vengono intercettati dalla polizia, perché questa sera nessuno è disposto a subire.
Più in là, nel campo “abusivo”, dove vivono i rumeni, stesse scene di determinazione e rabbia.
I fascisti ritornano indietro: questa volta in prima fila ci sono ragazzi e bambini: ancora le note del canto partigiano riempiono la serata. Non siamo rom e gagi, siamo abitanti di questa città che si oppongono al fascismo e al razzismo.
Quando tutto è finito, quando gli ultimi fascisti si sono allontanati, restiamo a parlare ancora a lungo.
Questa notte molti al campo veglieranno. Non è la prima volta e non sarà l’ultima: il ricordo dei roghi razzisti è forte. Questo non spegne l’allegria dei ragazzini. Ci salutano e ci danno appuntamento a sabato, quando i razzisti dei comitati faranno un corteo.
Sabato 30 maggio. Era il giorno dei Comitati “spontanei”, è stato il giorno degli uomini, donne e bambini dei campi di via Germagnano, di chi non è disposto a tollerare la marea limacciosa e violenta che sta salendo nelle periferie di Torino.
La misura era colma. Dopo una settimana di insulti e minacce di morte, dopo il corteo fascista di mercoledì, dopo la Lega e Salvini in incognito, la gente che abita in questo lembo nascosto di Barriera si è presa la strada, bloccando per oltre un’ora corso Vercelli, finché i razzisti hanno sciolto la loro manifestazione a poco più di duecento metri dalla partenza.
Da tempo comitati vicini a varie formazioni fasciste avevano annunciato un corteo da piazza Rebaudengo a via Ivrea, passando davanti al campo. Nel mirino dei comitati i “fumi” dei falò accesi per liberare dalle loro guaine i fili di rame. Che importa se i rottamatori di rame siano lavoratori in nero sfruttati da italianissimi imprenditori che si arricchiscono con l’oro rosso? Che importa che Torino sia una delle città più inquinate d’Italia, tra inceneritore e fabbriche?
I comitati “spontanei”, avatar della destra fascista e leghista, con qualche incursione a “sinistra”, puntano il dito sui rom, tutti colpevoli, collettivamente, dei problemi di chi vive in Barriera. Vittime sacrificali di un gioco crudele, nemici etnici su cui riversare il risentimento per l’impoverimento delle periferie, per il lavoro che non c’è, per il fitto che non si riesce a pagare, per il negozio soffocato dalla grande distribuzione, per i supermercati che chiudono e licenziano, per le scuole che cadono a pezzi, per le medicine che costano troppo, per l’aria che avvelena.
Quelli dei comitati hanno detto e scritto di non essere razzisti, ma hanno deciso un corteo da piazza Rebaudengo e via Ivrea, dove non ci sono né fabbriche inquinanti, né altre nocività, solo i campi di via Germagnano.
Non sono passati.
Nei bar di piazza Rebaudengo, prima del corteo, l’unica aria che si respirava in mattinata era quella della pulizia etnica.
Nel punto info mattutino al mercato di via Porpora sono passate persone del quartiere che hanno poi partecipato al presidio all’angolo tra corso Vercelli e via Germagnano.
Quando arriviamo apriamo gli striscioni e parliamo con gli abitanti dei campi che ci raccontano che la polizia gli aveva intimato di non andare al presidio. Si sono fiondati anche i soliti delle “associazioni” rom, che suggerivano di lasciar passare il corteo, di rimanere nei campi, arrivando ad alludere ad un “accordo” con quelli dei Comitati.
La politica della paura questa volta non ha funzionato. A piccoli gruppi in tanti hanno imboccato la salita e si sono uniti agli antirazzisti che avevano aperto striscioni: “via i razzisti dalla città”, “no alla guerra tra poveri, casa per tutti”, “i rom, torinesi come noi”, “il comune sgombera i campi e lucra sui rom”.
C’erano bosniaci dal campo “autorizzato” e rumeni da quello “abusivo”. Ad un certo punto hanno fatto capolino anche i sinti di via Lega.
All’arrivo della clown army tanti bambini si sono arruolati nell’armata senzapatria.
Le auto dei vigili sono state circondate dai clown, poco a poco la gente si è riversata in strada, oltrepassando l’incrocio in direzione del corteo “ambientalista” tra slogan, canti, sfottò. Un ragazzo del campo sventolava una bandiera No Tav.
“Gli unici stranieri gli sbirri nei quartieri”, “via fascisti e polizia”, “bella ciao”.
Abitanti di Barriera e solidali, uniti contro chi usa l’arma del razzismo, per impedire che i poveri lottino insieme contro i padroni che li sfruttano, hanno sbarrato il passo al corteo dei comitati.
Per oltre un’ora i razzisti sono rimasti fermi a duecento metri da piazza Rebaudengo, protetti da blindati e antisommossa.
Il blocco sul corso è stato mantenuto finché il corteo non si è sciolto.
Poi è esplosa la gioia, perché questa volta i razzisti avevano fatto dietrofront.
Tanta gente in un sabato di maggio ha spezzato il muro della rassegnazione, scoprendo che vincere è possibile.
Insieme abbiamo portato a casa la consapevolezza preziosa che anche in quest’angolo di città si può fare Barriera contro il razzismo.
mar.mat
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